Assicurati avere le piume, quando si tratterà di volare

Il fatto

C’è una diversità che dovrebbe darci energia ma che spesso ce ne toglie: la diversità di pensiero.

Dove nasce la diversità di pensiero?

È il combinato unico e irripetibile di fattori sociali, culturali, ambientali, ma anche di un fattore innato: il modo attraverso cui elaboriamo le informazioni. Dawna Markova, nota a livello internazionale per le sue ricerche in questo campo, ha individuato 4 tipologie di pensiero: pensiero analitico, innovativo, relazionale, procedurale. Quando ciascuno di noi è messo nelle condizioni di applicare il suo naturale sistema di pensiero, riceve energia dal lavoro invece di perderla. Non solo. Quando un team di lavoro include al suo interno persone appartenenti alle 4 tipologie «migliora l'innovazione, la risoluzione dei problemi, la resilienza e la co-creatività dell’azienda», scrive qui Nina Simmons.

Se pensare a modo nostro ci dà energia, perché lavorare con persone che pensano a modo loro ce ne toglie?

Perché riteniamo che le persone che la pensano come noi siano intelligenti mentre le persone che la pensano diversamente non lo sono. Questo rende la diversità di pensiero faticosa da gestire.

Quali sono le conseguenze?

Che ogni ambito professionale ha un processo di selezione che fa sì che entri dalla porta un’unica tipologia umana. La quale ha davanti un percorso di carriera che è sempre quello: se vuoi una promozione in ufficio o se vuoi scalare una startup, sai esattamente qual è l’esperienza e la formazione per arrivarci. Più è complesso l’obiettivo che deve raggiungere il team, meno diversità di pensiero c’è alla fine del processo di selezione. Metti le agenzie di intelligence «che affrontano una serie unica di problemi che richiedono soluzioni creative e non “googlabili”», scrive qui Farnam Street, ebbene proprio loro non possono avvantaggiarsi di quella diversità di pensiero che otterrebbero dall’assumere persone con troppi debiti o ricche di famiglia, cripto gay o con forti idee politiche, devote di una religione o con una vita sentimentale fuori dai canoni. Ognuna di queste persone rappresenta un potenziale “rischio”. La conseguenza è che nei team «tutti tentano di risolvere i problemi allo stesso modo. La forza lavoro è meno efficiente di prima. Ciò significa che devi assumere più persone per fare la stessa cosa o esternalizzare più lavoro a persone che assumono “disadattati”».

C’è un modo per far sì che la diversità di pensiero non ci tolga energia?

Innanzitutto riconoscere il metodo di apprendimento dell’altro e assecondarlo per dargli energia. «Ad esempio, uno dei miei colleghi preferisce essere chiamato per telefono, per ascoltare a voce, solo in questo modo porta a terra domande e informazioni», continua Nina Simons. «Al contrario, io mi oriento a vedere prima le idee o le domande per iscritto. Sapendo questo, possiamo adattare le nostre strategie per raggiungerci l’un l’altro nei modi in cui è più probabile che l’altro riceva». A tal fine, la bibbia è questo libro di Dawna Markova: Collaborative Intelligence: Thinking with People Who Think Differently.

E quando si tratta di esprimere il dissenso?

Qui il gioco si fa duro. Innanzitutto, si tratta di creare un ambiente di lavoro favorevole al dissenso, che addirittura lo incoraggi, dove sia normale e proficuo sfidare le idee dell’altro. A seguire, ci sono tutta una serie di tecniche qui elencate. Ma è sul merito del dissenso che si gioca la vera sfida. E in questo campo c’è il metodo John Wooden.

Chi è John Wooden?

John Wooden è stato il tecnico più vincente nella storia del basket collegiale statunitense. Alla fine degli anni ’70 due psicologi lo studiarono nel tentativo di saperne di più sulla psicologia alla base del suo successo. Hanno analizzato oltre 2.300 dei suoi atti didattici e hanno scoperto che il 6,7% erano complimenti, il 6,6% espressioni di dispiacere, il 75% erano informazioni. Piuttosto che lodare o criticare il “cosa”, lui si concentrava sul “come”. «L'intera prospettiva del “fornire informazioni” è interessante», scrive Ted Bauer, «perché sottolinea un problema che abbiamo nella società in generale: presumiamo che tutto riguardi le relazioni (e in una certa misura lo è), ma in realtà la maggior parte di tutto - le vendite, il sesso, il lavoro - riguarda lo scambio di informazioni». Attenzione, però. “Informazioni” per molti manager significa semplicemente “dì loro esattamente come lo faresti e, quindi, come dovrebbe essere fatto”. Nel caso John Wooden, “dare informazioni” significa fornire all’altro tutto ciò che può sostenerlo nel raggiungimento dell’obiettivo.

Tutto chiaro ma… cosa c’entrano le piume degli uccelli?

Ecco, dimenticavo la storia dell’uccello, che è contenuta in questo articolo. Quando per motivi evolutivi ha avuto bisogno di volare, l’uccello aveva già le piume, che aveva sviluppato per procurarsi calore e per essere attraente. Tradotto: non sappiamo di chi avremo bisogno affinché il nostro business sopravviva. Facciamo in modo che tutte le modalità di pensiero presenti nel nostro team riescano a convivere.

Questo articolo è tratto dal numero 50 del 28 gennaio 2023 della newsletter “Voices”, una newsletter settimanale di Diagonal curata da Annalisa Monfreda. Ogni settimana racconta storie, voci, dati e approfondimenti per ispirarti lungo il percorso verso un’azienda inclusiva. Siamo infatti convinte che la diversità sia la più grande opportunità di innovazione che abbiamo, l’occasione di riscrivere le regole del lavoro, di ridisegnarne i riti, gli spazi, la cultura. Se desideri iscriverti clicca qui. Ti aspettiamo!

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