Gli stravolti. Essere "occupati" non equivale a essere produttivi

Il tormentone

«Guardate che nel lavoro abbiamo una marea di stravolti. È diventato chic essere stravolti dal lavoro».

Chi l’ha detto?

Brunello Cucinelli, imprenditore del cashmere. Il video del suo discorso è diventato virale, ma non è un invito a rallentare. Bensì una denuncia di quanto la produttività sia diventata una posa: «Persone normalissime che ti dicono: “Ho 300 email”. Ma chi ti scrive?».

È davvero uno status lavorare tanto?

A quanto pare sì e qui c’è un elenco di tecniche per apparire impegnato senza esserlo veramente, tra le quali riconoscerai sicuramente quelle adottate da molti tuoi colleghi.

Ma ci sono pure gli stravolti veri.

Sì ed è qui che volevo arrivare. Il culto della produttività in cui viviamo immersi ha un’altra conseguenza più subdola: la “dismorfia della produttività”, come l’ha battezzata Anna Codrea-Rado. È la sensazione di non fare mai abbastanza quando è chiaro a tutti gli altri che stai facendo un ottimo lavoro. Una sensazione che si trova «nell'intersezione tra burnout, sindrome dell'impostore e ansia».

Ok. Ce l’ho! Come ne esco?

Andy Taylor racconta che vent’anni fa lavorava in una radio inglese. Stavano facendo grandi numeri, avevano il plauso della critica, erano un team giovane, ambizioso e… sfinito dal troppo lavoro. Il capo un giorno li riunì e disse loro: «Pensate alla vostra giornata lavorativa, alla settimana, al mese a venire. Pensate alle cose che dovete fare, a quelle che volete fare e a quelle che vi è stato detto di fare». Girarono sguardi nervosi per la stanza: era in arrivo una grande spinta all'innovazione? Il capo continuò: «Ora voglio che scegliate una cosa e… smettiate di farla. Decidete adesso. Quella cosa non c’è più. Il nostro tempo è importante. Possiamo fare cose straordinarie, ma non se siamo bloccati a fare cose di cui non abbiamo bisogno». La frase di quel vecchio capo è ancora la massima di Andy Taylor sulla produttività. E da oggi anche la mia.

E se non posso eliminare nulla?

Allora puoi ridisegnare il tuo rapporto con gli obiettivi della giornata, del mese, dell’anno. Il trucco sta nel godersi tutti i passaggi intermedi, non solo quando spunti una voce dalla to-do-list: festeggiare le piccole vittorie, riflettere sul viaggio in corso e sui vantaggi inaspettati di una giornata apparentemente improduttiva. C’è sempre un progresso anche quando non lo vediamo. Inutile dire che la pandemia è stata per molti un’ottima occasione per ridefinire che cosa significhi essere produttivi.

«Essere occupati è una forma di pigrizia: pensiero pigro e azione indiscriminata».

Tim Ferriss, guru della produttività


Quando avere tempo libero era sinonimo di successo

È chiaro che in questa serie di Netflix, The English game, in cui operai e aristocratici si scontrano sul campo da calcio, stiamo tutti dalla parte degli operai, che giocano dopo essersi spaccati la schiena in fabbrica e che, prima con l’inganno, poi cambiando le regole, ottengono di essere pagati per fare i calciatori, aprendo le porte al professionismo. Ma a noi, malati di produttività, serve a ricordarci che c’è stata un’epoca in cui il segno distintivo dell’aristocrazia era il tempo libero, il non doversi dedicare ad attività lavorative se non per poche ore, mentre il super lavoro, magari con turni massacranti, caratterizzava solo la classe proletaria. Oggi più lavori più hai successo. Siamo proprio sicuri di aver fatto un affare?

Cosa c’entra la produttività con la diversity?

Il culto della produttività è all’origine della grande disparità di genere sul lavoro, come raccontavo in questa puntata del podcast Senza perdere il filo. Una cultura del lavoro che premia la disponibilità illimitata di tempo è basata su un modello familiare per cui uno dei due è sempre reperibile per il lavoro e l’altro per i figli e le faccende domestiche. Se la cultura del lavoro rimane la stessa ma la società cambia perché le donne entrano nel mondo del lavoro, il sistema si inceppa. L’uomo continua a tenere il suo standard orario senza contribuire al carico domestico. La donna cerca di fare tutto il resto, cerca di conciliare, che significa da una parte ridurre le ambizioni lavorative, dall’altra abbassare gli standard domestici, ma poi alla fine si ritrova a dover scegliere tra famiglia e lavoro. «Dignità è non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità», ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento a Montecitorio.

Questo articolo è tratto dal numero 11 del 12 febbraio 2022 della newsletter “Voices”, una newsletter settimanale di Diagonal curata da Annalisa Monfreda. Ogni settimana racconta storie, voci, dati e approfondimenti per ispirarti lungo il percorso verso un’azienda inclusiva. Siamo infatti convinte che la diversità sia la più grande opportunità di innovazione che abbiamo, l’occasione di riscrivere le regole del lavoro, di ridisegnarne i riti, gli spazi, la cultura. Se desideri iscriverti clicca qui. Ti aspettiamo!

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