Il tempo maturo della carriera

Cos’è?

Il critico letterario Edward Said ha coniato questa espressione per descrivere le opere finali di un compositore o scrittore, quando il decadimento del corpo non può fare a meno di pervadere la sua arte. Lo scrittore Franklin Foer applica l’espressione alla performance di Leo Messi, ormai “anziano del calcio”, agli ultimi Mondiali.

Com’è stato il tardo stile di Messi?

Per capirlo, occorre un paragone con un altro tardo stile che abbiamo visto in azione contemporaneamente: «Ronaldo, 37 anni, si è agitato perché non riusciva ad adattarsi al suo declino fisico. Ha insistito per giocare come se avesse 10 anni in meno. Agendo come se fosse essenziale, è diventato superfluo», scrive Franklin Foer.

Cos’ha fatto Messi invece?

Non potendo più contare sulle gambe di una volta, «Messi ha economizzato i suoi movimenti. Piuttosto che fingere di essere un giovane, ha giocato come uno più grande» continua Foer. Ha scelto quando donarsi completamente e quando risparmiare le energie. E non potendo più sorprendere l’avversario con la velocità, lo ha fatto d’astuzia.

Messi è stato sempre così?

Assolutamente no. «In Qatar 2022 è stato toccante vedere fino a che punto aveva viaggiato come essere umano», commenta Foer: da ragazzo concentrato sulla questione della sua crescita a vero leader di un gruppo.

Il tardo stile è comunque una performance di serie B?

Secondo Foer, no. Messi ha mostrato, «in un mondo che feticizza la giovinezza, perché il tardo stile è molto spesso il migliore».

Cosa ci insegna questo sul mondo del lavoro?

Che dobbiamo iniziare a preparare il nostro tardo stile. Che non arriverà naturalmente con l’età ma sarà una scelta “di campo” da fare a un certo punto della nostra vita. E sarà preziosa anche per un altro motivo.

Quale?

Sarà la nostra arma segreta per trattenere e coinvolgere i giovani talenti. Geoffrey Garrett, decano alla University of Southern California, scrive che a tal scopo abbiamo bisogno di leader anti-churchilliani. Ovvero non «leader eroici che sono inveterati prenditori di rischio, dai quali vogliamo certezze per alleviare le nostre ansie e che poniamo su piedistalli molto al di sopra di noi», bensì «leader che ammettono i loro limiti, sono aperti alle sfide e riducono la distanza tra loro e noi. In breve, abbiamo bisogno che i nostri leader “siano reali”». 

In pratica, come si diventa così?

Due tra i suggerimenti di Garrett:

  • Essere umili, ovvero riconoscere i propri limiti senza perdere l’ambizione.

  • Essere explainer-in-chief, cioè «non offuscare realtà complesse», non evitare la complessità ma «spiegarla in modi che risuonano e aiutano a galvanizzare il supporto degli altri. Il compito di essere explainer-in-chief richiede la capacità di rendere semplice il complesso, senza diventare eccessivamente semplicistico».

Questo articolo è tratto dal numero 48 del 14 gennaio 2023 della newsletter “Voices”, una newsletter settimanale di Diagonal curata da Annalisa Monfreda. Ogni settimana racconta storie, voci, dati e approfondimenti per ispirarti lungo il percorso verso un’azienda inclusiva. Siamo infatti convinte che la diversità sia la più grande opportunità di innovazione che abbiamo, l’occasione di riscrivere le regole del lavoro, di ridisegnarne i riti, gli spazi, la cultura. Se desideri iscriverti clicca qui. Ti aspettiamo!

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