Perché le iniziative di diversity falliscono?

La storia

Ad aprile scorso, Lisa Shu ha fondato a Londra il Newton Venture Program, un programma di formazione per aspiranti investitori, con la chiara missione di attrarre donne, neri, asiatici e aumentare così la loro presenza nel mondo del venture capital.

Nobile missione. E quindi?

«Volevamo attrarre la diversità, abbiamo finito per allontanarla». Così Lisa Shu ha scritto in un’illuminante analisi degli errori commessi.

Di quali errori si tratta?

Di linguaggio, innanzitutto. Ogni parola usata per identificare il target ha finito per ottenere l’effetto contrario all’inclusione. L’acronimo Bame (Black, Asian, minority ethnic) è un «termine generico che tratta le numerose identità come una sola». La categoria Donne esclude involontariamente «coloro che non si identificano né come donne né come uomini, così come coloro che si identificano come entrambi».

Ma il linguaggio non è stato l'unico errore commesso

Per sostenere la necessità della loro missione, hanno utilizzato innumerevoli business case che dimostravano gli eccellenti risultati finanziari dei team diversificati e le ottime performance delle aziende con una più alta percentuale di donne.

Che male c’è? Lo facciamo tutti

Sì, ma in questo modo finiamo per allontanare chi vorremmo attrarre. Di fatto carichiamo i gruppi emarginati della responsabilità di «risolvere i problemi per la maggioranza». Inoltre «celebrare i risultati finanziari della diversity mina il senso di appartenenza all'interno delle organizzazioni. Nessuno vuole sentire di essere stato assunto per un simile motivo».

C’è ancora un ultimo errore

Erano convinti che la diversità dei team di venture capitalist fosse l’obiettivo, e che sarebbe bastato questo a risolvere il problema dello scarso accesso al finanziamento da parte dei gruppi emarginati. Non era vero. Hanno così introdotto un nuovo modulo per preparare i loro studenti a riconoscere gli ostacoli che avrebbero incontrato anche dopo aver ottenuto il loro primo lavoro in venture capitalism. Ovvero i pregiudizi all'interno di ogni fase del processo di investimento.

Hai riconosciuto errori commessi anche da te?

Io sì. Da anni accompagno le aziende nei progetti di diversità e inclusione e mi sono tornate in mente tutte le volte che:

  • abbiamo raccontato la diversity come un mezzo per raggiungere un risultato economico;

  • abbiamo considerato la diversity dei team come il fine della trasformazione culturale e non la sua condizione di partenza;

  • abbiamo pensato di includere creando spazi appositi per le minoranze e non rimuovendo le barriere posizionate all’ingresso dello spazio comune.

Se la conversazione ti intriga, allora devi leggere…

…questa storia di Atta Tarki

Un suo amico era ricoverato in ospedale tra la vita e la morte per una misteriosa malattia rivelatasi essere malaria, benché lui vivesse in Colorado e avesse all’attivo solo un breve viaggio a Londra. La sua salvezza fu l’assegnazione a un'infermiera che si era formata in Etiopia, aveva dunque riconosciuto il caso di malaria grave, aveva trovato un medico aperto al suo parere non richiesto, che aveva cambiato il trattamento del suo amico. L’autrice, cofondatrice di una società di recruiting in Usa, si accorge di essere davanti a una chiara dimostrazione di come la diversity in un’organizzazione possa fare la differenza tra la vita e la morte. E allora si pone la fatidica domanda: perché così tante iniziative sulla diversità falliscono? La sua esperienza le dice che «i recruiter desiderano nuovi membri del team che abbiano un aspetto diverso rispetto al team esistente, ma lo stesso background educativo, le stesse esperienze lavorative e gli stessi comportamenti. Passano, insomma, dal reclutamento di persone che appaiono uguali a quello di persone che pensano uguale».

…e questa riflessione di Riccarda Zezza

Quando smetteremo di parlare di diversità? «I diversi sono diversi loro malgrado e la maggior parte del tempo preferirebbero non doverci nemmeno pensare. Le minoranze sono già abbastanza affaticate dal doversi mimetizzare con l’esistente per avere anche la forza di farsi promotrici di un cambiamento. Eppure questo ci si aspetta da loro. Che si facciano avanti e portino soluzioni a un problema che, dopotutto, è loro».

Questo articolo è tratto dal numero 6 del 8 gennaio 2022 della newsletter “Voices”, una newsletter settimanale di Diagonal curata da Annalisa Monfreda. Ogni settimana racconta storie, voci, dati e approfondimenti per ispirarti lungo il percorso verso un’azienda inclusiva. Siamo infatti convinte che la diversità sia la più grande opportunità di innovazione che abbiamo, l’occasione di riscrivere le regole del lavoro, di ridisegnarne i riti, gli spazi, la cultura. Se desideri iscriverti clicca qui. Ti aspettiamo!

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