Sul linguaggio inclusivo

Il fatto

Una settimana fa la presidente della Commissione europea per la Parità, Helena Dalli, ha diffuso una piccola guida a uso interno per il personale delle istituzioni europee. Il titolo: Linee guida per la comunicazione inclusiva. Molte aziende ne hanno una o la stanno redigendo o prima o poi sentiranno la necessità di farlo.

A cosa serve?

A scrivere comunicati stampa, email, schede informative o post sui social network con un linguaggio rispettoso di ogni diversità di genere, etnia, razza, religione, disabilità e orientamento sessuale.

Fammi qualche esempio

Preferire il neutro Dear Colleagues al classico Ladies and Gentlemen. Evitare Mr o Mrs se non si è certi dell’identità di genere del destinatario. Mantenere l’equilibrio tra i generi nell’organizzare i panel. Parlare di “persona con disalibilità” invece che di “disabile”. Eccetera eccetera

Fin qui tutto bene, ma poi?

È stato attentato il Natale. O, per lo meno, questo hanno voluto intendere alcuni giornalisti e politici italiani. L’indicazione, molto meno bellicosa, era di non dare per scontato che esista solo la religione cattolica, per esempio augurando “Buone feste” invece che “Buon Natale”.

Vai con le reazioni

Se sei d’accordo, lascerei stare i politici e mi concentrerei sugli intellettuali. Una piccola selezione:

«Con l’ossessione di non ferire la minoranza, la signora Dalli ha dunque deciso di offendere la maggioranza». Francesco Merlo, la Repubblica

«Smettiamola una buona volta di ingannarci raccontandoci che dalla repressione di noi stessi possa nascere la libertà degli altri. La predicazione ossessiva e persecutoria delle pratiche di diversity and inclusion sta diventando l’ideologia egemone del nostro tempo». Antonio Scurati, Corriere della Sera

«È un’operazione di maquillage in cui non si tocca la sostanza». Ugo Cornia, Domani

«Certo, c’è poi il problema che oggi è martedì e io a Marte non ci credo. Si comincia a demansionare il Natale a vacanza semplice e si finisce per perdere qualche venerdì». Stefano Bartezzaghi, la Repubblica.

Com’è finita?

Helena Dalli ha ritirato il documento: «Non è maturo e non raggiunge gli standard qualitativi della Commissione europea», ha detto.

Un piccolo inciso

Mi è capitato spesso di sentir delegittimare le politiche di inclusione con queste due motivazioni:

“È solo maquillage”. Il linguaggio non è maquillage, è fare spazio. Se la lingua non ci comprende, noi smettiamo di esistere. Se la lingua ci definisce in un modo scorretto, noi difficilmente riusciamo a sentirci corretti. Francesca, un’abbonata di Voices, mi ha segnalato questo podcast in cui Alex Wunschel, giornalista tedesco, intervista Daisy Auger-Dominguez, Hr di Vice Media Group, dominicana, portoricana, newyorkese. Lei dice: «La diversità è il mix: io sono latina, tu sei bianco. L’inclusione è come te e io creiamo spazio per l’altro, per sentirci inclusi in una conversazione. Tu hai fatto questo con me oggi. Mi hai presentata. Hai capito la mia pronuncia. Hai creato uno spazio per me».

“È una repressione della maggioranza”. Lo penserei anche io se mi vietassero di pronunciare o festeggiare il Natale. Ma nessuno lo ha fatto. Chi ricorre a queste semplificazioni lo fa nella speranza di aizzare la rabbia della maggioranza.

Cosa possiamo imparare da questa storia?

1_ Non c’è documento interno che non rischi di divenire pubblico. Specie se tratta temi di grande attualità.

2_Basta una frase infelice (magari scritta male o in modo superficiale) perché l’intero documento venga delegittimato.

3_Se il documento è il risultato di una conversazione approfondita e partecipata, ci saranno molti ambassador pronti a sponsorizzarlo e alfieri pronti a difenderlo. Non era questo il caso, evidentemente.

4_Quelle sul linguaggio sono le classiche regole che rischiano di non funzionare, in quanto vissute dalla maggioranza come un sacrificio senza un chiaro beneficio. Ne parlavamo qui la settimana scorsa.

E quindi, se voglio che la mia azienda adotti un linguaggio inclusivo?

Le strade sono due. O stabilisci nuove regole e nuove parole, sperando che esse generino una nuova cultura. Oppure usi le parole che hai per trasformare la cultura, e aspettare che dalla nuova cultura germoglino nuove parole.

Questo articolo è tratto dal numero 3 del 4 dicembre 2021 della newsletter “Voices”, una newsletter settimanale di Diagonal curata da Annalisa Monfreda. Ogni settimana racconta storie, voci, dati e approfondimenti per ispirarti lungo il percorso verso un’azienda inclusiva. Siamo infatti convinte che la diversità sia la più grande opportunità di innovazione che abbiamo, l’occasione di riscrivere le regole del lavoro, di ridisegnarne i riti, gli spazi, la cultura. Se desideri iscriverti clicca qui. Ti aspettiamo!

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